Nei giorni scorsi il leader di Azione – Carlo Calenda – si è incontrato con la premier per discutere di alcune questioni in relazione alla manovra finanziaria e manifestare, come forza politica, la disponibilità a collaborare su alcune scelte, confermando allo stesso tempo, il ruolo di forza di opposizione all’interno della compagine parlamentare. Al di là della lettura che si può dare dell’avvenimento, un passaggio dell’intervista fatta dal leader politico, all’uscita da Palazzo Chigi, merita di essere sottolineato. Calenda ha detto: «Abbiamo discusso nel dettaglio la questione della sanità e in particolare dell’aumento degli stipendi per gli infermieri». La strumentalità del passaggio risalta nettamente e potrebbe essere anche giustificata nell’ottica della perenne campagna elettorale in corso in questo paese. Ma la questione è più complessa. In poche parole, si rivela tutto il retroterra culturale non solo di chi le ha pronunciate, ma di un’intera classe politica che affronta le questioni del welfare in termini correttivi, con rivendicazioni finalizzate a tamponare le troppe falle del sistema, lungo una prospettiva di corto, cortissimo respiro, che intende la salute come se fosse un mondo a sé stante e non tanto la risultante finale della combinazione di più fattori sociali (determinanti) quali: l’istruzione, l’assistenza sociale, i redditi, le abitazioni, la previdenza, l’ambiente, e molto altro ancora. La salute per i signori del palazzo è un ammennicolo con cui dilettarsi in retorica e propaganda quando non ci si interessa di questioni economiche definite. Allora, in quel caso, diventa un ghiotto oggetto di lottizzazioni, speculazioni, compravendita affaristica in balia degli umori – e dei profitti – del mercato.
La salute dei cittadini, insomma, è un po’ come quelle brutte rappresentazioni degli animali di allevamento il cui corpo viene disegnato in un profilo diviso in sezioni a seconda dei tagli di carne da operare: coscia, spalla, pancetta, collo, fettine, appalti per i camici e le mascherine, personale fornito dalle cooperative, posti letto residenziali, piccole strutture ospitanti pazienti “problematici”.
Lungo questa prospettiva quindi è abbastanza limitante concentrarsi solo sulle cifre presenti nella legge di bilancio in tema di sanità. A meno che queste non vengano interpretate in una luce prospettica utile ad aprire un orizzonte definente il grande affare della salute. Un affare che, in primo luogo, parte dall’assunto che meno soldi si danno al servizio sanitario nazionale, maggiore sarà la possibilità per i privati di accentuare la loro penetrazione al suo interno. La carenza cronica di personale sanitario disvela, in varie notizie, come gli stessi professionisti, medici o infermieri, vengano pagati maggiormente se un determinato lavoro lo svolgono come “prestatori d’opera” privati che non da dipendenti pubblici. In un tessuto già sofferente, come ad esempio quello dei Pronto Soccorso, il risultato finale è quello che a più riprese i media hanno riportato, gridando allo scandalo: il sanitario, impiegato fino a ieri come operatore pubblico, se ne va via per ritornare poi nello stesso posto a fare le stesse cose, ma pagato maggiormente come libero professionista e non più come dipendente. Casi eccezionali? Probabilmente, ma anche sintomi di una malattia diffusa che la contrazione delle risorse, umane e finanziarie, può solo che peggiorare.
La stessa manovra finanziaria predisposta per il triennio 2023-2025, in un primo tempo, aveva assegnato due asfittici miliardi per la salute degli italiani, elevati poi a 7,6; poco meno di 1/5 dell’intera legge di bilancio. Scelta che, a prima vista, potrebbe anche far ben sperare, ma nella realtà, dato che ci si trova di fronte ad una evidente manovra di piccolo respiro, figlia della consapevolezza della fase recessiva in corso e modulata per soddisfare qualche prurito ideologico e le tante promesse elettorali che andranno puntualmente a finire nel dimenticatoio, dopo qualche moina iniziale come nel caso del tanto deprecato reddito di cittadinanza; e dopo anche tanti condoni concessi.
La situazione della sanità italiana è tale che non può essere certo affrontata con correttivi di vario genere, che riempiono i titoli dei giornali, ma risolvono molto poco in tema di carenza di personale, posti letto, servizi, prestazioni, liste d’attesa e molto altro ancora. Un trentennio di tagli continui, a livello del settore pubblico, e finanziamenti di ogni tipo a favore delle strutture private, hanno consegnato, allo stato attuale, un servizio sanitario nazionale disfunzionale, costoso, zeppo di iniquità di ogni genere dove, la stratificazione di classe di questo paese si fa sentire in maniera decisa. Sotto certi aspetti è quanto ha affermato anche Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, il quale sicuramente non è né socialista né libertario. In un video del quotidiano di Via Solferino affronta proprio la questione della sanità, presa in esame come indicatore delle conseguenze dell’evasione fiscale. De Bortoli sottolinea: «Abbiamo lodato per mesi il servizio sanitario nazionale che ci costa più di 120 miliardi l’anno, uno dei migliori al mondo, anche se poi assistiamo al paradosso di una regione come la Calabria che importa 400 tra medici e infermieri cubani. Mah! La sanità pubblica cura tutti, senza eccezioni di reddito, di cittadinanza di provenienza, anche chi non paga un euro di tasse e magari le evade da anni».
Un’affermazione quasi scontata, quella del direttore del Corsera, ma che non può indirizzare verso una valutazione meramente ragionieristica della salute pubblica e del welfare in generale, ma deve mostrare la dimensione tutta politica delle questioni. Perdersi in commenti e cifre di vario genere all’interno della manovra è sicuramente una tentazione ed un rischio molto forte, ma alcuni dati vanno sottolineati, non tanto per dimostrare quanto sia cattivo questo governo o più in generale il capitalismo; tutti i governi sono cattivi ed il capitalismo dal volto umano non esiste. Esistono, altresì, differenze e metodologie che modulano il dominio delle oligarchie economiche e politiche sugli sfruttati. Ebbene, fra le tante voci della legge di bilancio, ce n’è una piccolina che fa riferimento alle misure da adottare in tema di AMR (Antimicrobico resistenza) e di ICA (infezioni correlate all’assistenza) che causano migliaia di vittime ogni anno. In tal senso saranno previsti circa 120 milioni di euro in tre anni per poter implementare programmi correlati alle norme di igiene e profilassi da seguire, in particolare al lavaggio delle mani. Buona cosa, ma lascia sospettare che, in realtà, questi soldi siano stati raggranellati con un pretesto qualsiasi al fine di far arrivare qualche euro – briciole – alle amministrazioni periferiche, ed anche ai privati. Ma al di là di qualsiasi cattivo pensiero è chiaro che qualcosa non va se nei confronti delle infezioni ospedaliere e dell’antibioticoresistenza ci si appiattisce solo sul lavaggio delle mani eseguito o meno, conosciuto o meno dagli operatori.
In primo luogo, si scarica ancora una volta una questione di sistema sul singolo, in piena visione liberista della società. La colpa delle infezioni ospedaliere è dunque di chi non si lava le mani – ed è vero – o se le lava male, ma si deve, in primo luogo, guardare anche all’uso indiscriminato degli antibiotici, o alla presenza di tempi di lavoro sempre più pressanti, alla carenza di personale; tutti fattori sicuramente molto influenti sull’erogazione di una cattiva assistenza. Ma anche se ci si volesse focalizzare sul solo lavaggio delle mani, questa è una questione di natura sistemica, affatto individuale. Un fenomeno che dovrebbe essere una pratica connaturata nelle persone, appresa in famiglia, a scuola, o nella società. Facile a dirsi, ma decisamente improponibile in quanto esistono larghe fette della popolazione prive di reddito, povere, con l’acqua tagliata perché non paga le bollette e con una bassa istruzione. Un quadro globale ben più complesso da affrontare solo con qualche corso improvvisato finanziato con soldi racimolati alla bell’e meglio e, che mette in evidenza come l’istruzione, al pari della sanità, sia l’altra grande vittima dell’assalto liberista al welfare e delle sue conseguenze catastrofiche.
Un recente lavoro pubblicato su The Lancet (prestigiosa rivista scientifica in lingua inglese) ha mostrato il risultato di una ricerca condotta da un’equipe internazionale di economisti, medici, sociologi ed altre figure, sullo sviluppo delle malattie tumorali. Fra i tanti rilievi interessanti è stato confermato il dato che mostra come il cancro sia maggiormente presente negli strati della popolazione meno istruiti.
C’entra questo fatto con la manovra italiana? Molto più di quanto si creda, se si vanno a leggere le questioni della salute pubblica oltre i semplici steccati della spesa sanitaria. In questo caso, proprio in relazione all’istruzione che vede la contrazione dei finanziamenti, la previsione – per calo demografico – del taglio di circa 600 istituti e, di conseguenza, che renderà ancora più difficile ridurre la cronica e perniciosa carenza di insegnanti e personale scolastico. Se a questo dato aggiungiamo l’abbandono scolastico, più presente nelle aree povere del paese, dove 1,4 milioni di minori vivono in povertà assoluta e hanno una aspettativa di vita ridotta di quattro anni rispetto al resto del paese, il quadro tragico del paese è completo.
A questi dati poi, si possono aggiungere il peggioramento delle condizioni di vita per quelle famiglie legate al reddito di cittadinanza eliminato e la cifra di 9 milioni di italiani a rischio di povertà energetica. Alla fine il balletto delle cifre in merito a tagli o ripensamenti monetari per la salute pubblica è abbastanza utile a mascherare la cattiveria e l’accanimento di una classe al potere contro i più deboli, mentre si preoccupa di chiedere maggiori soldi alla classe media – che afferma di tutelare – a fronte di regalie importanti che, anche questa volta, vengono garantite ai soliti ricchi. La Presidente del Consiglio ha detto che la fase attuale è difficile ed ha sottolineato come le scelte fatte siano coraggiose e rivolte ad un domani migliore. Probabilmente ha ragione. Per chi depreda le risorse pubbliche, condanna milioni di donne e uomini all’indigenza, premia l’arroganza politica, l’inconsistenza imprenditoriale e l’evasione fiscale, sicuramente il proprio comportamento può apparire coraggioso, ma, in realtà, è tutt’altro e, proprio per tale ragione, ha bisogno di un futuro di maggiore stabilità e crescita, costruito però unicamente ad uso di un’oligarchia vigliacca e predatrice che alla fine, nel deserto sociale creato in questi anni, si ritroverà sicuramente più ricca, ma ancor più timorosa e spaventata dalle urla di rabbia di milioni di diseredati. E per quanto possa sembrare assurdo, più delle rivolte sociali, avrà paura di essere definitivamente abbandonata nel deserto brutto e cattivo da lei stessa creato perché, anche se molto difficile a farsi, un’altra società è possibile. Un’altra società esiste e dovrà necessariamente migliorare, solidaristicamente, la sua salute, evitando di continuare a farsi contagiare dalla cattiva salute della “buona” società.
Giordano Cotichelli